Questo progetto è nato qualche giorno dopo che mia figlia adolescente, che sta con me da 3 anni e mezzo e che arriva dalla Somalia, mi ha chiesto come spiegare alle sue coetanee quello che aveva subito da piccolina senza spaventarle e sentirsi un fenomeno da baraccone. Come spiegare ai professori, senza avere addosso gli occhi di chi ti guarda con compassione, come mai ogni mese ci sono giorni in cui si sente male e sta chiusa in bagno, come spiegare che non salta l’ora di educazione fisica per pigrizia ma perché fa proprio fatica a camminare.

Ricordo ancora quando ne abbiamo parlato la prima volta, ci conoscevamo da poco e eravamo sedute a fare colazione. Mi ha chiesto se fossi cucita anche io e se tutto quel dolore che prova durante il ciclo sia normale.

All’inizio, nonostante l’enorme sofferenza soprattutto a ridosso del ciclo mestruale, era un argomento tabu che con il passare dei mesi invece è diventato uno dei temi intorno ai quali ragioniamo spesso.

Ci sono stati e ci sono tuttora le notti insonni o fatte di incubi in cui rivive ancora quel momento cosi drammatico e doloroso.

Quello che ho imparato, accarezzandole la testa durante la notte e standole accanto giorno dopo giorno, è che non potevo guardare a quel momento della sua vita con l’approccio “colonialista”, di chi alza il sopracciglio e si sente migliore e giusto a priori. La cosa che mi interessava era far capire innanzitutto a mia figlia come è fatto e funziona il nostro corpo ma anche capire da dove arriva questa pratica che di fatto è una violazione dei diritti umani che compromette la salute di milioni di bambine e donne.

Ciò che mi interessa è che stia bene e che si senta a suo agio, con un corpo che di fatto è mutilato.

All’inizio provava un enorme imbarazzo anche di fronte alla parola “mutande”, figuriamoci quando parlavo di apparato riproduttivo.

Il fiore è un riferimento iconico molto immediato, come simbolo della donna, della riproduzione, della fertilità e della primavera ed è stato un mezzo per farle comprendere “come funziona” la nostra parte più intima. 

Ecco perché il nome FLOR, il nome latino del fiore che abbiamo deciso che sta anche per Female Liberties Oughta Rise.

E siccome credo fortemente nel valore terapeutico dell’arte, mia figlia simula ciò che ha subito quando era bambina, trasformando una cicatrice in una piccola e personale opera d’arte.

Parliamo di una questione culturale che riguarda tutta la nostra comunità di giovani e adolescenti, che è un meltin’ pot e quindi ha bisogno di uno sguardo consapevole che lasci da parte ogni pietismo compassionevole. Mostrare questo progetto coinvolgendo altre donne sicuramente darebbe la possibilità di fare luce su questo tema.

Vorremmo poter viaggiare ed estendere questo progetto, anche se l’emergenza Covid ci sta rallentando molto e credo che dovremo aspettare qualche mese per finirlo se vogliamo renderlo “internazionale”. Vorremmo infatti utilizzare fiori provenienti da tutto il mondo, soprattutto dall’Europa, dove il fenomeno delle MGF è più diffuso di quanto sembri ed è fondamentale parlarne ad esempio tra le comunità di donne del Corno d’Africa, per far capire loro come questo comprometta la salute e la qualità della vita delle ragazze e delle donne.

Avremmo dovuto trascorrere qualche settimana in Finlandia l’estate scorsa  in una residenza per artisti, per lavorare con fiori che qui è difficile trovare e per coinvolgere altre donne, a causa del Covid è saltato tutto ovviamente.  E proprio il Covid o meglio la chiusura delle scuole e i lockdown in quasi tutti i Paesi del Mondo, ha aumentato il numero di bambine e ragazze che sono state sottoposte a queste pratica o che comunque sono a rischio.

Uno degli obiettivi delle nazioni unite è eliminare le mutilazioni genitali femminili entro il 2030, mi auguro che questo progetto possa essere uno strumento in più per accendere un faro su un tema così delicato e contribuire ad una sensibilizzazione su questo argomento. 

Ci vuole tanto coraggio per decidere di parlare di alcune cose mettendoci la faccia, quando le ho chiesto se se la sentiva di pubblicare questo post, nonostante sia un tabu per la maggior parte delle donne che hanno subito la mutilazione, mi ha risposto che ci abbiamo lavorato tanto proprio per fare in modo che se ne parli. 

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