Ho viaggiato spesso da sola, in Italia e all’estero, per periodi lunghi e brevi e non ho mai avuto paura.
Domenica scorsa con la mia famiglia siamo andati in montagna, mia sorella e mio fratello al seguito, con i classici italiani alla radio che piacciono tanto a Kaltuma discutevamo animatamente sulla differenza tra i termini femminista e femminile ma io ero altrove, pensavo a quando avrei infilato i piedi nell’acqua gelida del torrente.
Così ho fatto, sono rimasta a valle a scattare delle foto con i piedi a mollo mentre loro hanno proseguito.
Ero lì a godermi il fresco e le farfalle da quasi un’ora quando sono arrivati due uomini, ho sorriso e salutato, come avevo fatto anche con il gruppo di scout, la donna con il cane che aveva paura dell’acqua e qualche altro passante.
I due però si sono detti qualcosa, hanno riso e sono tornati indietro, a pochi metri da me e cercavano di tirare fuori e montare una specie di canna da pesca.
Ho avuto paura, forse per la seconda volta in vita mia, in pochi minuti mi sono domandata come mi era venuto in mente di sorridere, come se pregiudicasse qualcosa, perché non avevo lasciato la fotocamera a casa e ero andata anche io solo a passeggiare, quale poteva essere la migliore via di fuga, e con la coda dell’occhio cercavo già il bastone più lungo per difendermi.
Mentre analizzavo la situazione ai raggi x, ho sentito la voce di mio fratello e tirato un profondissimo sospiro di sollievo, anche se l’episodio mi ha lasciato come stordita e ovviamente non potevo sapere ancora le notizie che sarebbero state in rassegna stampa questa settimana.
Di ritorno ho parlato con il mio compagno non della paura ma di come vivere la mascolinità in maniera diversa potrebbe salvarci da tante violenze.
Il patriarcato si sconfigge in molti modi, educando alla parità e quindi alle emozioni.
E’ di questa settimana, ad esempio, la notizia del bambino rimproverato da un adulto perché teneva in braccio una bambola. “Ma giochi con le bambole? Sei un maschio dovresti giocare con i soldatini”.
– Sono il papà, mica la mamma – gli avrebbe risposto il bambino, mostrando chi fosse il più saggio tra i due.
I soldatini la dicono lunga su quale sia il rapporto tra la mentalità più diffusa e gli stereotipi di genere.
Il mio compagno è molto positivo sulle nuove generazioni, pensa che la società è destinata a perdere sempre di più i retaggi dei secoli scorsi come i pregiudizi razziali o quelli di genere e io spero tanto che abbia ragione.
Dice che il machismo è ancorato più alla nostra generazione che a quella di mio fratello, che ha 23 anni, e dei nativi digitali.
E’ sempre di questa settimana però la notizia del gruppo pedopornografico “Shoah Party”, chat creata da un diciassettenne in cui ragazzini dai 13 anni in su si scambiavano video e immagini di bambini che venivano torturati, stuprati, ammazzati.
Come si intende già dal nome scelto per la chat, i contenuti inneggiano al nazismo, alle violenze sui disabili e agli immigrati.
Non è solo l’età ad attirare la mia attenzione ma la disparità di genere anche nel riportare le notizie.
E’ stata una settimana orribile, due ragazze di quindici anni stuprate e Rimini Today scrive “Ubriache FRADICIE al party in spiaggia, due 15enni violentate DALL’AMICHETTO”.
Il modello patriarcale con tutta la sua violenza, fornisce un alibi e una scusante al maltrattante e fa passare la maltrattata per colpevole e poco di buono.
Quale sia l’età non conta, se sei donna.
Anche su un giornale importante come Repubblica hanno scritto spesso delle baby squillo o delle baby prostitute quando invece avrebbero dovuto parlare di maturi pervertiti o di pedofili.
Forse proprio per questo mi ha colpito molto il tono dell’intervista, sempre su Repubblica, al ragazzo che ha creato il gruppo pedopornografico: l’ha creato lui, adolescente appassionato di fisica quantistica che sogna di fare il medico: pensava fosse un luogo per ridere, “ma la situazione mi è sfuggita di mano”. E l’ha capito solo quando alle quattro del mattino i carabinieri hanno suonato alla porta.
Non mi aspettavo e non volevo una crocifissione al diciassettenne da parte dei giornalisti, vorrei solo che chi lo fa di mestiere utilizzasse sempre un linguaggio giusto, equilibrato, per riportare le notizie.
Francesca ha 25 anni e su una sua storia di Instagram, evidenziando l’articolo di Repubblica, scrive: A 17 anni se sei una ragazza e una tua foto finisce su internet sei quella grande abbastanza – sottinteso anche un po’ troia – da prevedere che certi comportamenti hanno delle conseguenze ma se sei un maschio che crea gruppi pedopornografici sei un povero bambino appassionato di fisica che vuole fare il medico (dai ma allora come si fa ad accusarlo tatoneee) travolto da una situazione sfuggita di mano . Ma le matte siamo noi che esageriamo nel dire che la narrazione è sempre dalla parte dell’uomo.
Scambio qualche messaggio con lei, le anticipo che sto scrivendo proprio su questo e mi risponde che alla sua storia hanno risposto solo donne:nessun uomo che nel leggere una schifezza come questa scriva cazzo ma è grave!
Le chiedo l’età media delle donne che le hanno risposto, tra i 25 e i 27 anni.
Allora ripenso alla notizia del bambino che gioca con il bambolotto, alla discussione che io stessa ho avuto con il compagno di una mia amica perché non gli piaceva affatto che il figlio giocasse con la cucina (e poi in tv guardiamo programmi di cucina fatti solo da grandi chef uomini!), penso ai 3 stupri nelle ultime 48 ore a Milano. Penso alla mia paura, per fortuna infondata, di domenica scorsa. Ai video e ai messaggi che ricevo ogni tanto e ai quali spesso non riesco neanche a rispondere perché mostrano genitori orgogliosi di bambini che a pochi anni scimmiottano atteggiamenti sessisti visti dentro casa.
Penso alle mie amiche, madri di figli maschi che sentono la responsabilità di crescere degli uomini svincolati da preconcetti di genere e liberi di manifestare le proprie emozioni al di fuori dei cliché.
Alle foto scattate a mio fratello attraverso le quali ho iniziato a raccontare che ci sono emozioni universali che non solo esclusivamente delle donne e che nessun uomo dovrebbe vergognarsi di lasciare emergere per paura di pregiudizi.
Penso all’emozione di fronte alla statua ai Musei Vaticani, all’infinita tenerezza che neanche il marmo trattiene, del Sileno che stringe Dioniso tra le braccia.
E’ fondamentale che questa dolcezza, il senso di cura, venga a monte della formazione di un individuo e non ricercata come alibi nel momento in cui compie un atto violento.
Ho letto tante volte che bisogna impostare una narrazione differente e per farlo bisogna innanzitutto avere una visione diversa, che vada al di là del rosa, dell’azzurro, della cucina giocattolo o dei soldatini.